Da simbolo d’italianità a icona universale:
Dante nel settimo centenario della nascita (1965)
Fulvio Conti, Università degli Studi di Firenze
Dopo la caduta del fascismo si produsse in Italia un moto di repulsa verso il nazionalismo esasperato e la retorica patriottica che avevano rappresentato il principale elemento identitario del regime mussoliniano. Dante, che fin dall’età del Risorgimento era stato percepito nell’immaginario pubblico come profeta dell’idea di patria e dell’unità italiana, riuscì a sopravvivere a questa ondata di antinazionalismo recuperando la sua dimensione di simbolo universale della poesia. Al tempo stesso si consolidò la sua identificazione con un’idea d’italianità molto diversa da quella aggressiva e imperialistica del periodo fascista. Dopo il 1945 il poeta tornò a raffigurare la principale icona di un’Italia che voleva farsi apprezzare nel mondo soprattutto per il suo primato culturale e artistico. Questa nuova declinazione del mito e dell’uso pubblico di Dante emerse chiaramente dalle innumerevoli iniziative che furono organizzate nel 1965 in Italia e in molti paesi del mondo per celebrare il settimo centenario della sua nascita. L’articolo offre un’esauriente disamina di tali iniziative (politiche, culturali, artistiche, mediatiche, ecc.), che fecero di Dante un autentico simbolo della cultura pop conosciuto e apprezzato a livello planetario.
Keywords: Dante Alighieri; Identità nazionale; Cultura popolare; Centenario dantesco 1965; Italia repubblicana; nazionalismo/universalismo
1. Premessa
In un libro pubblicato nel 1996 e accolto al suo apparire da molte critiche e discussioni lo storico Ernesto Galli della Loggia si soffermò sulla crisi dell’idea di nazione, anzi sulla vera e propria “morte della patria” che a suo dire si era consumata in Italia con la caduta del fascismo, all’indomani del 25 luglio 1943.[1] Non è questa la sede per riprendere e discutere i punti di forza e di debolezza di quel saggio, che indubbiamente ebbe il pregio di fotografare con efficacia il momento in cui il lungo percorso di costruzione di un’identità nazionale fondata sul concetto di patria, avviato nell’Italia del Risorgimento, si era repentinamente interrotto. Forse non lasciando il vuoto abissale denunciato dall’autore, ma certo costringendo a ripensarlo in modo profondamente diverso da come era stato concepito fino ad allora, da Mazzini a Mussolini.[2]
Al tracollo dell’idea di nazione che si consumò fra il 1943 e il 1945 seguì un moto di repulsa per ogni retorica patriottica che caratterizzò i decenni successivi e al quale contribuirono alcuni fattori che qui è possibile richiamare soltanto in modo schematico: l’egemonia nell’Italia repubblicana di forze politiche come la Democrazia cristiana e il Partico comunista che si ispiravano a ideologie universalistiche (il cattolicesimo, l’internazionalismo socialista); la marginalizzazione politica e culturale della tradizione risorgimentale-liberale, che fino a tutto il fascismo aveva conservato una certa capacità di orientare o influenzare le classi dirigenti della penisola; la “gigantesca, capillare opera di snazionalizzazione”[3] che interessò ogni aspetto della sfera quotidiana, dei consumi, delle mode e si affermò fin dall’immediato dopoguerra attraverso il successo travolgente dell’american way of life.[4]
In un quadro sociale, politico e culturale di questo tipo che cosa ne fu di Dante? Per meglio dire: che cosa ne fu del mito e dell’uso pubblico che si era fatto di Dante nel periodo compreso fra gli albori del Risorgimento e il tracollo del fascismo, quando l’autore della Commedia era diventato uno dei simboli principali dell’identità nazionale italiana? E non soltanto, si badi bene, all’interno delle élites intellettuali e delle cerchie acculturate, ma in strati sociali assai più larghi e nel corpo vivo della nazione. È un aspetto della “varia fortuna di Dante,” questo, che in occasione del centenario del 2021 è stato oggetto di riflessione in alcuni studi,[5] nel solco tracciato da Carlo Dionisotti in un saggio del 1966 che resta ancora oggi di esemplare acutezza.[6] Nella lunga campata temporale che va dall’età giacobina e napoleonica, attraverso il Risorgimento e la stagione postunitaria, fino alla caduta del fascismo Dante fu trasformato in una sorta di feticcio dell’italianità, oggetto di un culto che trascese la sua grandezza di poeta e assunse le sembianze di un’autentica religione laica. Qui basti soltanto rammentare la mitizzazione come “profeta della patria,” come visionario anticipatore dell’unità nazionale di cui fu oggetto nella prima metà dell’Ottocento; le celebrazioni del 1865, quando in tutto il paese, anche nelle terre sotto il dominio austriaco, andò in scena la prima grande festa della nazione italiana; l’uso strumentale che ne fece il movimento irredentista attraverso la Società Dante Alighieri, e dunque ben prima che la statua inaugurata a Trento nel 1896 divenisse l’emblema delle rivendicazioni indipendentiste di trentini, friulani, istriani e dalmati;[7] l’utilizzo della sua immagine (fig. 1) durante e dopo la Grande Guerra (nel 1915 per salutare la decisione dell’intervento dell’Italia al fianco della Francia e dell’Inghilterra Jean Cocteau pubblicò su una rivista una vignetta con il profilo stilizzato del poeta e la semplice scritta: Dante avec nous); l’ulteriore esasperata curvatura nazionalista che il fascismo dette di lui e della sua opera.
Il presente articolo cerca di rileggere il centenario dantesco del 1965, e gli anni del secondo dopoguerra che lo precedettero, con questa chiave interpretativa. S’interroga cioè su cosa restò nell’immaginario pubblico italiano e internazionale del mito del Sommo poeta come icona dell’identità nazionale. In un tempo in cui, come si diceva, dopo l’uso esasperato del nazionalismo come strumento di legittimazione di dittature aggressive e di guerre sanguinarie, l’Italia e il mondo avvertivano l’esigenza di voltare pagina e di riscoprire nuovi valori nei quali riconoscersi. Ebbene, dall’analisi di alcune fonti (serie numismatiche e filateliche, pubblicità, fumetti, fiction televisive e cinematografiche) emerge con chiarezza che Dante conservò, e persino consolidò, la sua capacità di presentarsi a livello planetario come un indiscusso brand dell’italianità.
Figura 1. La copertina disegnata da Jean Cocteau per il numero 19 del 15 giugno 1915 della rivista satirica francese “le mot.”
L’accelerazione che questo processo ha conosciuto dal secondo dopoguerra ai giorni nostri è sotto gli occhi di tutti, e non occorre soffermarvisi in dettaglio: dalle innumerevoli riscritture parodiche che sono state fatte della Commedia, e su tutte la versione manga di Gō Nagai, al successo travolgente in ogni teatro del mondo del Tutto Dante di Roberto Benigni; da uno dei più venduti videogiochi degli ultimi anni, Dante’s Inferno, prodotto nel 2010 da Visceral Games e distribuito da Electronic Arts per le più diffuse piattaforme (Playstation, XBox), al film Inferno, basato sull’omonimo romanzo best seller di Dan Brown, che fu diretto nel 2016 da Ron Howard e ha incassato 220 milioni di dollari. Per non dire della impressionante e incredibilmente vasta influenza che Dante ha esercitato anche sulla musica pop contemporanea. E non soltanto su quella italiana, come si potrebbe pensare per le ovvie affinità linguistiche, ma nell’intero panorama internazionale. Dalla musica folk di Bob Dylan[8] al genere Grunge di Kurt Cobain e dei Nirvana,[9] dal Krautrock del gruppo tedesco dei Tangerine Dream, autore fra il 2002 e il 2006 della trilogia Inferno, Purgatorio e Paradiso, al Progressive e al Metal di alcune band italiane, oltre agli innumerevoli cantanti del genere Rap.[10] E ancora, spaziando da una parte all’altra del mondo, si potrebbero menzionare la band inglese Radiohead,[11] la brasiliana Sepultura, la francese Indochine, tutte debitrici di quell’inesauribile fonte di ispirazione rappresentata da Dante e dalla sua opera. Anche in questo caso, dunque, ci troviamo di fronte alla dimensione planetaria del successo di un autore, che di certo non ha paragoni e ha suscitato l’interesse di una giovane ma già solida letteratura scientifica.[12]
L’articolo analizza in particolare il contributo specifico che al processo di universalizzazione di Dante fu dato dal centenario del 1965. Sia soffermandosi sulle iniziative messe in cantiere in Italia e sul taglio che ad esse vollero dare la Presidenza della Repubblica, il governo e il comitato organizzativo, sia offrendo una sia pur sintetica descrizione delle principali celebrazioni promosse nei vari paesi del mondo.
2. Il mito di Dante nell’Italia denazionalizzata
Era del tutto lecito attendersi che nell’Italia del 1945, desiderosa di lasciarsi alle spalle tutto ciò che richiamava il nazionalismo bellicista del fascismo, assai lontano da quello che aveva nutrito le aspirazioni dei patrioti risorgimentali, non vi fosse più spazio per il poeta che di quei valori, con un’incredibile forzatura del suo pensiero, era stato eretto a simbolo massimo. O almeno sembrava inevitabile che egli fosse condannato a una specie di “purgatorio,” a un periodo più o meno lungo di allontanamento dalla luce dei riflettori della scena pubblica. Un Dante finalmente riconsegnato, secondo l’auspicio formulato da Benedetto Croce già nel 1921, agli studi dei letterati e dei critici, sottratto alle manipolazioni della politica. A distanza di oltre quarant’anni, nell’intervento conclusivo a un convegno del 1965 dedicato al rapporto fra Dante e il nazionalismo italiano, il dantista americano Charles T. Davis sarebbe tornato a esprimere la medesima aspettativa crociana, senza peraltro riuscire a nascondere il proprio scetticismo: “After the ardors of Fascist Italy, one may hope that Dante will now be left to the perhaps less biased and at least more cautious, attentions of aesthetes and academicians. But in view of the well-proven exegetical energy of patriots and politicians, it would be rash to venture such a prediction.”[13]
Ebbene, per certi versi i dubbi di Davis avevano qualche ragione di fondamento. In effetti, Dante riuscì a sopravvivere all’ondata di antinazionalismo che si abbatté sull’Italia post-fascista da un lato recuperando la sua dimensione di simbolo universale della poesia, dall’altro perpetuando la sua identificazione con l’idea d’italianità. Tuttavia, l’autore della Commedia cessò di esercitare la funzione di stella polare di un patriottismo che non di rado - come durante la Grande guerra e il fascismo - si era presentato con toni aggressivi e roboanti, per raffigurare la principale icona di un’Italia che tornava a farsi apprezzare nel mondo per il suo primato culturale e artistico.
In ogni caso, che Dante continuasse a recitare un ruolo centrale fra i simboli di italianità lo si vide bene fin dal 1948, quando la riproduzione in calcografia del suo volto, di immediata riconoscibilità, fu impressa sul verso della prima banconota da diecimila lire che fu messa in circolazione dalla Repubblica italiana (fig. 2). Sul recto, nei due medaglioni risparmiati dalla stampa, si potevano invece vedere in filigrana i busti di Michelangelo e di Galileo. Il poeta fiorentino fu poi omaggiato nel 1965, in occasione del settimo centenario della nascita, con una moneta commemorativa in argento da 500 lire di cui furono tirati cinque milioni di esemplari (fig. 3). Sfrondata di particolari gravami retorici, la moneta recava al diritto un suo ritratto e al rovescio un’allegoria della Divina Commedia.
Figura 2. Riproduzione in calcografia del volto di Dante nella prima banconotada diecimila lire emessa dalla Repubblica Italiana nel 1948.
Figura 3. Moneta commemorativa in argento da 500 lire con l’effigie di Dante emessa nel 1965.
Ma l’evoluzione nell’uso politico di Dante che avvenne nel passaggio tra il periodo fascista e quello repubblicano emerge in maniera ancor più nitida dall’analisi delle serie filateliche a lui dedicate. Infatti, poiché la stragrande maggioranza degli scambi epistolari avveniva a quel tempo attraverso lettere e cartoline, i francobolli - diffusi ognuno in centinaia di migliaia di esemplari, collezionati da adulti e bambini - rappresentavano un poderoso strumento di comunicazione politica di cui lo Stato si avvaleva nel momento in cui sceglieva i soggetti in essi raffigurati. La prima serie dantesca fu quella emessa dalle poste italiane nel settembre 1921 in occasione del sesto centenario della morte. Constava di tre valori, rispettivamente da 15, 25 e 40 centesimi, che richiamavano il numero delle cantiche e mediante il connubio di testo e disegno offrivano del poeta l’immagine consolidata di supremo interprete delle aspirazioni nazionali, che all’indomani della Grande guerra potevano dirsi ormai quasi del tutto concretizzate (fig. 4). Il francobollo più denso di significati politici era quello da 25 centesimi che raffigurava una donna coronata, personificazione dell’Italia, seduta davanti alla bandiera nazionale spiegata e con la Divina Commedia nella mano destra, ben in evidenza, all’interno di un cerchio che ne faceva risaltare ulteriormente la presenza, “quasi fosse un’aureola.” Come a dire, “siamo di fronte ad un testo prezioso, sacro al destino della patria. La nazione, dunque, ha ritrovato l’antica dignità nel nome del suo maggiore poeta, del padre della lingua che viene finalmente e ufficialmente parlata anche nelle ex terre irredente.”[14] La Divina Commedia campeggiava anche nel valore da 15 centesimi, tenuta negli artigli da un’aquila volteggiante sullo sfondo di un cielo stellato, mentre nel valore da 40 centesimi figurava il ritratto del poeta, cinto d’alloro e seduto su una cattedra medievale, sotto la quale il verso del Purgatorio (“mostrò ciò che potea la lingua nostra”) evocava messaggi che l’Italia di Vittorio Veneto non faticava evidentemente a interpretare.
Figura 4. Serie filatelica dedicata a Dante emessa dalle Poste Italiane nel 1921.
Un utilizzo politico del poeta ancor più eclatante si ebbe nel 1938, quando il 28 ottobre, nella ricorrenza della marcia su Roma, fu emessa la serie che celebrava, a due anni di distanza, la proclamazione dell’Impero. I dieci francobolli di posta ordinaria mettevano in fila altrettanti simboli di italianità e soprattutto indicavano con precisione quali fossero i miti fondativi e i riferimenti identitari del fascismo. Ognuno di essi era descritto da una frase lapidaria di Mussolini, che non compariva di persona in alcun francobollo, ma era presente in tutti attraverso le sue frasi e con l’iniziale del cognome, l’inconfondibile “M” con la quale firmava i documenti. Nella serie erano raffigurati Romolo e Augusto, a incarnare il mito di Roma, Leonardo da Vinci, “la mente più profonda nelle arti e nelle scienze,” e Cristoforo Colombo, “il più audace dei navigatori.” Un francobollo commemorava l’incontro di Teano fra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II, altri celebravano il Milite ignoto e l’Altare della Patria, la marcia su Roma, l’impresa di Etiopia, e naturalmente Vittorio Emanuele III. Dante, “il più alto genio della poesia,” era ritratto di profilo, quasi a figura intera, con la Divina Commedia in mano e con l’aquila e la croce sullo sfondo, a evocare senza troppa ambiguità uno dei successi del regime, la conciliazione fra Stato e Chiesa (fig. 5).
Figura 5. Francobollo dedicato a Dante emesso nel 1938 dalle Poste Italiane.Il valore faceva parte della serie che celebrava la proclamazione dell’Impero.
Tutt’altre caratteristiche ebbero le serie filateliche del 1965, quando nella ricorrenza del centenario della nascita il poeta fu onorato con tre distinte serie dalla Repubblica italiana, dalla Città del Vaticano e dalla Repubblica di San Marino (fig. 6). In esse Dante non venne più visto “come pretesto per aperte strumentalizzazioni retoriche e politiche, bensì come espressione di altissima cultura e, insieme, come occasione per la nascita di opere artistiche di altissimo livello.”[15] Lo dimostrò la serie vaticana, che fu affidata all’artista polacca Casimira Dabrowska, disegnatrice e miniaturista di fama internazionale. I quattro valori di cui era composta offrivano rielaborazioni del ritratto dantesco di Raffaello e di alcuni disegni realizzati da Botticelli per l’illustrazione della Commedia. Lo scopo che perseguiva, sicuramente raggiunto, era di omaggiare il poeta attraverso la bellezza della riproduzione artistica, esaltando il valore universale della sua opera letteraria. A questo stesso obbiettivo mirò la serie italiana, che utilizzò tre immagini tratte dai più bei codici miniati della Commedia e come ritratto di Dante il busto bronzeo conservato nel Museo nazionale di Capodimonte. Per i suoi quattro pezzi, infine, San Marino fece ricorso alle famose incisioni di Gustave Dorè.[16]
Figura 6: Le tre serie filateliche emesse nel 1965 dalla Città del Vaticano,dalla Repubblica Italiana e dalla Repubblica di San Marino per celebrare il centenario dantesco.
3. “Un dono che la nostra Nazione fa a tutte le nazioni”
Questa nuova declinazione dell’uso politico di Dante che cominciò a farsi strada nell’Italia del secondo dopoguerra trovò la sua compiuta affermazione in occasione delle manifestazioni per il settimo centenario della nascita. La cifra identitaria delle varie cerimonie ufficiali fu assai diversa da quella dei due precedenti centenari del 1865 e del 1921. Quella che uscì dalle innumerevoli iniziative organizzate in tutto il mondo fu l’immagine di un personaggio che certo restava l’emblema per eccellenza dell’italianità - “il più grande degli Italiani” come lo definì il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat[17] - ma al tempo stesso fu restituito, o se si vuole definitivamente consegnato, al suo ruolo di simbolo universale dei valori della poesia e dell’arte.
Per la verità, tuttavia, proprio nel discorso pronunciato alla cerimonia di apertura delle celebrazioni Saragat non mancò di richiamare ciò che Dante aveva simboleggiato per molte generazioni di italiani (video 1): “Ci è caro ricordare che il Dante-simbolo ha rappresentato nel nostro risorgimento nazionale il segnacolo per l’affermazione dell’indipendenza della Patria. E anche oggi, chi non sente il valore immenso per il bene supremo dell’unità del nostro Paese – bene salvaguardato attraverso vicende terribili e perciò appunto ancora più sacro – della celebrazione del Dante-simbolo come padre della nostra gente?”[18]
https://www.raiplay.it/video/2019/09/Dante-in-TV---LApprodo-sulle-celebrazioni-dantesche-67db748f-7cc8-43c3-9a1c-16d64cfacffe.html
Video 1: Discorso del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat per l’apertura delle celebrazionidel centenario dantesco del 1965. Archivi Rai (Radio Televisione Italiana).
Quindi il presidente, soffermandosi sulle concomitanti ricorrenze del 1965, aggiungeva:
Il settimo centenario della nascita di Dante cade – non dimentichiamolo – nel cinquantesimo anniversario dell’inizio di un conflitto che doveva portare i nostri soldati ai confini naturali della Patria; confini vaticinati da Dante, e nel ventesimo anniversario della liberazione dell’Italia e dell’inizio della sua rinascita. La celebrazione di Dante ci offre l’opportunità per ricordare a noi stessi e alla Nazione quali siano le virtù che condizionano il consolidamento e lo sviluppo della nostra democrazia. Sono le virtù, per eccellenza dantesche, di carattere e di forza d’animo, che hanno portato i nostri soldati, i nostri partigiani, tutto il popolo nostro a lottare in un momento decisivo della storia nazionale con fede incrollabile nel destino della Patria, sorretti dall’amore per la libertà e bramosi di giustizia sociale.[19]
Il discorso presidenziale del 31 marzo 1965 lasciava trasparire il convincimento che Dante potesse ancora rappresentare una risorsa importante per colmare il “deficit di identità e di patrimonio simbolico”[20] in cui versava il paese all’indomani del Ventennio fascista e della guerra. Un vuoto identitario che obbligava a confrontarsi con la tradizione nazionale e a cercare nel passato nuovi vincoli di appartenenza. A Dante il presidente Saragat sembrava voler affidare la missione impossibile di fungere da tessuto connettivo di riferimenti memoriali difficilmente conciliabili, il mito della Grande guerra e quello della Resistenza, di cui ricorreva l’anniversario in quel medesimo 1965: cinquant’anni dal 24 maggio 1915 e vent’anni dal 25 aprile 1945. In realtà, quando nell’aprile 1966 si trattò di tirare un bilancio delle manifestazioni del centenario, ci si accorse che degli accenti patriottici di un anno prima ben poco era rimasto. E fu ancora il presidente della Repubblica, nel suo messaggio per la chiusura delle celebrazioni, a sottolineare l’ormai avvenuto completamento del processo di universalizzazione del poeta (fig. 7): “Dante non è patrimonio soltanto nostro. L’opera sua non ha confini geografici, così come resiste al passare degli anni e dei secoli. È un bene universale. È, semmai, un dono che la nostra Nazione fa a tutte le nazioni, antiche e nuove. E proprio in questo senso non può che rallegrarci il sapere che Dante è sempre più conosciuto, oltre che dal nostro, da altri popoli, essendo nel suo nome racchiuso un messaggio universale: un messaggio di bellezza, di grandezza e di alta consapevolezza umana.”[21]
Figura 7. Il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat pronuncia il discorso di aperturadelle celebrazionidel settimo centenario della nascita di Dante, Roma, 31 marzo 1965.
Dante non era più il “profeta della nazione,” non apparteneva più solo all’Italia, bensì andava ormai considerato, per riprendere le parole di Saragat, “un bene universale.” Più ancora ebbe modo di sottolineare questi aspetti Luigi Gui, ministro della Pubblica istruzione nel governo Moro e presidente del comitato per il centenario dantesco. Nel discorso da lui tenuto alla cerimonia di Firenze del 30 aprile 1966 (fig. 8), che sancì la chiusura ufficiale delle celebrazioni, affermò:
La poesia e l’anima di Dante sono diventati patrimonio effettivo dell’intera umanità, della cultura di tutto il mondo. Questo universalizzarsi di Dante, di cui troviamo tracce anche molto remote, ha assunto proporzioni notevolissime nel secolo scorso e oggi addirittura imponenti, in coincidenza e, pensiamo, in concomitanza con l’affermarsi graduale e irresistibile di quegli ideali di libertà, di rispetto per la persona umana, di unità internazionale, su cui si trova orientata, pur in varie forme e misure, la cultura e la civiltà del nostro tempo. […] La prima constatazione che ci si presenta nel considerare l’estendersi della conoscenza di Dante, è che in lui hanno riconosciuto i propri sentimenti, le proprie aspirazioni, la propria anima, ambienti e Nazioni dai più diversi caratteri e dai più vari problemi.[22]
Figura 8. Il ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui pronuncia il discorsoper la chiusura del centenario dantesco, Firenze, 30 aprile 1966.
La conversione di Dante da icona nazionale a simbolo universale ebbe uno dei suoi momenti più significativi nella manifestazione commemorativa che si tenne a Parigi presso la sede dell’Unesco nell’ottobre 1965 e vide la partecipazione, fra gli altri, dei poeti Ilya Erenburg ed Eugenio Montale (video 2).
https://www.raiplay.it/video/2019/10/Dante-in-TV---LUNESCO-celebra-Dante-501519ea-d4cd-43d4-8d4a-930151436a33.html
Video 2: Celebrazione del Centenario dantesco presso la sede dell’Unesco a Parigi, ottobre 1965. Archivi Rai (Radio Televisione Italiana).
Nel suo intervento il ministro Gui ricordò come il poeta fiorentino avesse “cantato con ferma fede e ardente volontà quell’esigenza di unità di tutti gli uomini, di universale complementarietà e corresponsabilità da cui oggi sono sorte e si giustificano l’Organizzazione delle Nazioni Unite e le altre strutture che da essa fanno capo.”[23] Il salto logico, come si vede, era compiuto. Il veltro profetizzato da Dante non era Vittorio Emanuele II che aveva unito l’Italia sotto la monarchia sabauda, e neppure Mussolini che aveva fondato l’Impero. Piuttosto, nell’anelito universalistico che permeava le pagine dantesche era da ricercare la visione anticipatrice del nuovo ordine internazionale, ben rappresentato dalle organizzazioni di scala planetaria che si erano formate dopo le tragedie della seconda guerra mondiale.
In effetti, nel 1965 il mondo intero si mobilitò per onorare la memoria di Dante. In alcuni paesi, fra cui la Svizzera, l’Austria, la Grecia, la Cecoslovacchia, l’Unione sovietica, l’Iran, il Messico, l’Argentina e il Brasile, si costituirono appositi comitati per la celebrazione del centenario, in qualche caso promossi dagli stessi governi e con il sostegno delle principali autorità pubbliche e istituzionali.
Nel corso dell’anno furono organizzate settimane dantesche in Germania, in Brasile, in Algeria. In Costarica i festeggiamenti durarono addirittura un mese, chiamato appunto il “Mese di Dante,” e si articolarono in conferenze, proiezioni di film e trasmissioni radiofoniche. I nuovi mezzi di comunicazione di massa si ritagliarono uno spazio considerevole anche altrove. Al poeta fiorentino furono dedicate trasmissioni radiofoniche o televisive in Argentina, in Giappone, in Jugoslavia, persino a Ceylon. La radio ungherese mandò in onda originali conversazioni sceneggiate dell’Inferno con la partecipazione di alcuni fra i più noti attori magiari. Un famoso attore italiano, Vittorio Gassman, fu invece protagonista del recital dantesco che andò in scena a Filadelfia nell’aprile 1965 su iniziativa della locale Società Italo-americana in collaborazione con l’Università di Haverford.[24]
Figura 9. Monumento a Dante di Giannino Castiglioni (Krefeld, 1965).
A Dante furono intitolate una piazza a Santos, in Brasile, e una nella capitale iraniana Teheran. Nuovi monumenti furono inaugurati nella città tedesca di Krefeld (ottobre 1965; fig. 9) e a Malta (maggio 1967; fig. 10), mentre a San Paolo si svolse una cerimonia commemorativa ai piedi della statua a lui dedicata che già esisteva.
Figura 10. Monumento a Dante di Vincent Apap, La Valletta 1965
In molti paesi vennero allestite mostre di testi e documenti danteschi, alcune delle quali promosse dagli istituti italiani di cultura. Tra le più significative vi furono quelle che esposero le illustrazioni della Commedia realizzate proprio in quegli anni da due dei maggiori maestri dell’arte contemporanea: Robert Rauschenberg e Salvador Dalì (fig. 11).
Figura 11. L’Inferno illustrato da Robert Rauschenberg e la Divina Commedia illustrata da Salvador Dalì.
Notevoli, infine, furono le iniziative messe in campo dalla Chiesa per rivendicare una volta per tutte la cattolicità del poeta e sottrarlo al tentativo di farne un simbolo di laicità, se non addirittura di anticlericalismo, come era avvenuto nel XIX secolo e fino al centenario del 1921.[25] Paolo VI affidò il suo pensiero alla lettera apostolica Altissimi cantus che volle significativamente pubblicare il 7 dicembre 1965, il giorno prima della chiusura del Concilio Vaticano II e nella ricorrenza della festività di Sant’Ambrogio, patrono di quella Milano di cui egli era stato a lungo arcivescovo. In stretta continuità con le posizioni espresse da Benedetto XV nell’enciclica In praeclara summorum del 1921, Papa Montini affermava in termini perentori:
Qualcuno potrebbe forse chiedere come mai la Chiesa cattolica, per volontà e per opera del suo Capo visibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poeta fiorentino e di onorarlo. La risposta è facile e immediata: perché Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore e Cristo; nostro, perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra.[26]
Nella lettera apostolica Paolo VI ribadì il convincimento che per la Chiesa di Roma Dante rappresentava il poeta cristiano per eccellenza e che, contrariamente a quanto sosteneva la critica d’ispirazione crociana, anche le parti teologiche e dottrinali della Commedia andavano considerate come altamente poetiche.[27] Il pontefice tradusse poi il senso profondo del suo messaggio in alcuni atti di forte impatto simbolico, attraverso i quali lasciò un segno tangibile della volontà della Chiesa di considerare il poeta come un suo figlio devoto. Il primo di essi fu la deposizione, in suo nome, di una croce d’oro sulla tomba del poeta il 19 settembre 1965, a cui fece seguito il 14 novembre successivo il dono di una corona, anch’essa d’oro, che fu collocata nel battistero fiorentino di San Giovanni. Quest’ultima cerimonia riuscì particolarmente solenne perché vi prese parte, insieme alle autorità locali e al cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, una folta rappresentanza di circa cinquecento Padri del Concilio ecumenico che era in corso presso la Santa Sede. Con la stessa lettera apostolica si decretò inoltre l’istituzione di “un insegnamento o cattedra che promuova gli Studi Danteschi” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il papa concluse infine il proprio impegno ufficiale per il centenario dantesco con l’indirizzo di saluto rivolto il 21 gennaio 1966 ai membri della Società Dante Alighieri, convenuti a Roma da ventisette nazioni e da lui ricevuti in udienza speciale.
4. “Date Dante al popolo”
Nel 1965 tutta l’Italia pullulò di iniziative che trovarono nel “Comitato nazionale per le celebrazioni del VII centenario della nascita di Dante,” istituito con apposita legge su proposta del governo, una struttura di propulsione e di coordinamento a livello centrale che era mancata in occasione delle precedenti ricorrenze del 1865 e 1921. Tuttavia, il ruolo più attivo giocato dallo Stato nella gestione della macchina celebrativa non si coniugò affatto, come si è già detto, con l’enfatizzazione di quella lettura nazionalistica del poeta che vi era stata nel passato. Anzi, l’indicazione che venne dal comitato nazionale fu semmai quella di “popolarizzare” la figura di Dante, far sì che il centenario non desse luogo soltanto ai pur auspicati nuovi approfondimenti scientifici, ma diventasse l’occasione per far conoscere e apprezzare il poeta al pubblico più largo. In un paese che aveva appena deciso di investire sulla crescita del tasso di scolarizzazione degli italiani, introducendo la scuola media unificata ed elevando l’età dell’obbligo scolastico a quattordici anni, questo appariva un impegno ineludibile. E non stupisce che esso fosse sottolineato da un governo di centro-sinistra, nato da soli due anni con l’accordo fra socialisti e democristiani, e che ad avvertirlo in misura particolare fosse proprio quel ministro della Pubblica istruzione, Luigi Gui, che fu chiamato a presiedere il comitato dantesco. Nel già citato discorso pronunciato in Campidoglio per la cerimonia di apertura del centenario Gui affermava:
L’esigenza di diffusione della cultura si presenta qui, su questo tema del centenario dantesco, con una forza ch’è proporzionale al grado di maturità raggiunto dal pubblico in questi anni di moltiplicazione di mezzi di diffusione del sapere. […] Questo convergere insieme degli studiosi e del popolo a una medesima celebrazione centenaria è segno dei tempi, nei quali è possibile, in virtù del più vasto sapere e della più reale democrazia, far partecipare anche il mondo del lavoro a quei valori che lo studioso coltiva perché divengano alimento di vita per tutti.[28]
L’auspicio che tutto ciò trovasse concreta attuazione nell’anno del centenario venne ribadito con forza nel discorso con cui il presidente della Repubblica dette inizio ufficiale alle celebrazioni:
Facendo mio l’invito di Benedetto Croce, sotto la cui grande autorità mi colloco, mi rivolgo adesso agli studiosi, ai pubblici poteri, agli editori: “date la poesia, date Dante al popolo: datelo in edizioni popolari, senza note o con parche e ingenue note… e non vi impensierite del modo con cui lo leggerà e se lo intenderà o fraintenderà. Lo fraintenderà in qualche particolare e lo intenderà nell’insieme.” […] Questo, a mio giudizio, è il modo migliore di celebrare il settimo centenario della nascita di Dante.[29]
Si può dire, in effetti, che da entrambi i punti di vista gli obbiettivi indicati dal comitato nazionale vennero raggiunti. Sotto il profilo più squisitamente scientifico il centenario del 1965 registrò la proliferazione in ogni parte del mondo di convegni, mostre e pubblicazioni che ebbero in Italia, ovviamente, una particolare diffusione. Fra i progetti più ambizioni promossi dal comitato vi fu quello di una grande Enciclopedia dantesca, la cui realizzazione venne affidata all’Istituto della Enciclopedia italiana. Diretta da Umberto Bosco, che ne fu anche l’ideatore, l’opera fu pubblicata in sei grossi tomi fra il 1970 e il 1978. All’inizio del 1966 videro poi la luce anche i primi due volumi della nuova edizione critica della Divina Commedia, curata da Giorgio Petrocchi per i tipi di Arnoldo Mondadori, che sarebbe stata completata l’anno seguente (fig. 12).[30]
Secondo l’italianista Enzo Esposito, anche dagli studi accademici giungeva la conferma della nuova interpretazione del poeta che si era venuta a creare nell’uso pubblico e nell’immaginario collettivo dopo la fine del fascismo, cioè la sua progressiva trasformazione da bandiera nazionale in icona universale. “Un fatto emerge chiaro – scriveva Esposito - dal folto prospetto di casi e documenti: la presenza di Dante nel mondo culturale ha assunto un’evidenza e una forza determinante mai prima posseduta; oggi più che mai Dante è guardato come una delle massime figure della poesia mondiale ed è sentito pienamente nella universalità del suo messaggio che risponde alle esigenze più profonde della vita spirituale dell’uomo.”[31]
Figura 12. Il professor Giorgio Petrocchi presenta i primi due volumi della nuova edizionecritica della Divina Commedia al Presidente della Repubblica Saragat.
Una grande attenzione fu riservata per tutto l’anno del centenario al mondo della scuola. Il 22 maggio 1965 si svolse la “Giornata dantesca nella scuola,” in occasione della quale in ogni istituto si tenne una commemorazione del poeta anche mediante la proiezione del documentario Incontri con Dante sui codici miniati, che il comitato aveva prodotto in collaborazione con il Centro nazionale per i sussidi audiovisivi (video 3).
https://www.raiplay.it/video/2019/10/Dante-in-TV---La-Giornata-dantesca-nella-scuola-ec440639-12d8-4d3d-9745-1e71e12b82ff.html
Video 3. La “Giornata dantesca nella scuola,” 22 maggio 1965. Archivi Rai (Radio Televisione Italiana).
Fu lanciato inoltre un concorso a premi per gli studenti delle ultime tre classi degli istituti secondari superiori e i vincitori furono condotti in visita alle città di Firenze, Arezzo, Ravenna e Verona. Un altro concorso per quattro premi da un milione di lire destinati a lavori inediti su Dante fu organizzato insieme alla rivista Cultura e scuola e riservato ai docenti della scuola primaria e secondaria. Furono poi allestiti corsi di aggiornamento su argomenti danteschi per i maestri elementari in modo da offrire loro “indicazioni di carattere didattico sull’accostamento dei fanciulli a Dante.”[32] Infine, a conclusione dell’annata si tenne a Trieste dal 29 ottobre al 4 novembre un grande convegno su Dante nella scuola, che vide oltre duecento insegnanti confrontarsi con i maggiori studiosi del poeta.
Il comitato dette poi seguito al proposito di avvicinare Dante al popolo organizzando insieme al Ministero delle Partecipazioni statali una nutrita serie di manifestazioni specificamente concepite “per gli operai dell’industria.” Esse riguardarono i lavoratori della Breda, del Poligrafico dello Stato e di varie aziende e stabilimenti dell’Iri e dell’Eni. Vi parteciparono circa 24 mila operai ed ebbero luogo nei teatri di città e centri minori, il cui elenco ci restituisce una topografia dell’industria pubblica italiana alla metà degli anni Sessanta: Trieste, Venezia, Vicenza, Reggio Emilia, Padova, Bergamo, Ferrara, Ravenna, Torino, Milano, San Donato Milanese, Firenze, Genova, Piombino, Terni, Roma, Napoli, Bari e Taranto; ma anche Castelnuovo di Magra, Marina di Grosseto, Anagni, Ferentino, Alatri, Mulazzo, Agrigento, Gela e Barcellona Pozzo di Gotto. Gli operai partecipanti, si diceva nel resoconto del comitato nazionale, “hanno avuto in omaggio una copia della Divina Commedia, in edizione popolare, e hanno assistito a uno spettacolo dantesco, organizzato dalla Compagnia degli spettacoli classici.”[33] Per ogni evento era poi prevista una conferenza commemorativa svolta da un docente universitario.
Se nella ricorrenza centenaria del 1921 la “popolarizzazione” dell’opera dantesca era stata affidata al cinema, al teatro e alle rievocazioni storiche, quella del 1965 vide come grandi protagonisti la radio e la televisione. La Rai, l’ente radio-televisivo pubblico, mise a punto un denso programma di trasmissioni radiofoniche sulla figura del poeta accompagnate da letture e commenti della Commedia, ma soprattutto produsse lo sceneggiato televisivo Vita di Dante, che andò in onda in tre puntate nel dicembre 1965. La fiction faceva parte di una trilogia sulle vite celebri ideata da Angelo Guglielmi che ne comprendeva una su Michelangelo e una su Cavour, trasmesse rispettivamente nel 1964 e nel 1967 (video 4). Fu diretta da Vittorio Cottafavi con Giorgio Albertazzi nei panni di Dante, una giovanissima Loretta Goggi in quelli di Beatrice e altri volti noti della scena teatrale italiana chiamati a interpretare i vari personaggi.
https://www.raiplay.it/programmi/vitadidante
Video 4. Vita di Dante, lo “sceneggiato” televisivo prodotto dalla Rai che andò in ondain tre puntate nel dicembre 1965. Archivi Rai (Radio Televisione Italiana).
Anche nel 1965, naturalmente, non mancarono manifestazioni che oggi definiremmo di Public History. Tale fu la cerimonia rievocativa della pace che nel 1306 fu stipulata fra i marchesi Malaspina e i vescovi-conti di Luni, che ebbe in Dante, quale procuratore di Francesco Malaspina, uno dei garanti degli accordi. Organizzata dal comitato per le celebrazioni dantesche della Lunigiana, fu rappresentata il 6 ottobre 1965 nel salone consiliare del palazzo civico di Sarzana.
Ancor più suggestivo fu il Processo a Dante che si celebrò il 16 aprile 1966 ad Arezzo nella basilica di San Francesco per iniziativa del locale comitato dantesco (fig. 13).[34]
Figura 13. Dante Ricci (a cura di), Il processo di Dante (Firenze: Arnaud, 1967).
Anticipando un format che negli anni successivi sarebbe stato replicato con successo per altri personaggi o avvenimenti, nella città toscana fu messa in scena una sorta di prova di appello del processo del 1302 che aveva visto Dante giudicato colpevole per aver commesso, durante il periodo del Priorato, “baratterie, illeciti lucri, inique estorsioni in denaro o altre cose.” Il poeta, com’è noto, fu condannato a due anni di confino e all’esclusione perpetua dai pubblici uffici, sentenza che fu poi trasformata nella condanna a essere arso sul rogo se fosse tornato a Firenze. La riedizione del processo, a cui parteciparono illustri giuristi e letterati, fu un autentico successo. Duemila persone affollarono la chiesa aretina e applaudirono la sentenza di assoluzione del poeta, che ebbe larga eco sulla stampa. “Cadono tutte le accuse contro Dante Alighieri - scrisse il Corriere della Sera -. Il dibattito ha contribuito a infrangere il magnifico isolamento del Poeta avvicinandolo alla sensibilità popolare come attiva forza poetica e morale.”[35]Anche il quotidiano fiorentino La Nazione sottolineò questo aspetto:
L’assolutorio verdetto di questo “processo” ha riparato, in parte, alle frammentarie e disarmoniche manifestazioni organizzate in occasione del centenario dantesco; ha riportato il grande pubblico davanti ai temi eterni della poesia; ha lavato l’offesa fatta all’esule fiorentino con una corale ed ecumenica riparazione. Nessuna conferenza su Dante e le sue tribolazioni avrebbe richiamato tanta gente: le duemila persone che affollavano la Chiesa di S. Francesco hanno applaudito il verdetto. Questo era in fondo lo scopo del processo: perfettamente raggiunto nel suo duplice aspetto culturale e divulgativo.[36]
Per Dante Alighieri, dopo un secolo e mezzo di onorato servizio come “profeta della patria,” il destino di icona pop del mondo globalizzato era già apparecchiato.
Ernesto Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica (Roma-Bari: Laterza, 1996). ↑
Per una sintesi suggestiva, anche se non sempre condivisibile, cfr. Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo (Roma-Bari: Laterza, 2011). ↑
Galli della Loggia, La morte della patria, 131. ↑
Fra i tanti contributi sul tema si vedano almeno Stephen Gundle, “L’americanizzazione del quotidiano. Televisione e consumismo nell’Italia degli anni Cinquanta,” Quaderni storici, 21, no. 2 (1986), 561-94 e David Forgacs, Stephen Gundle, Cultura di massa e società italiana, 1936-1954 (Bologna: il Mulino, 2007). Sulla dimensione globale del fenomeno, con attenzione sia alla cultura di massa mainstream che alla popular culture e alle forme espressive underground, cfr. Alberto Mario Banti, Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd (Roma-Bari: Laterza, 2019). ↑
Mi permetto di rinviare a Fulvio Conti, Il Sommo italiano. Dante e l’identità della nazione (Roma: Carocci, 2021), ora anche in traduzione inglese: The Ultimate Italian. Dante and a Nation’s Identity (London-New York: Routledge, 2023). Ma si veda anche Giuseppe Antonelli, Il Dante di tutti. Un’icona pop (Torino: Einaudi, 2022). ↑
Carlo Dionisotti, “Varia fortuna di Dante,” Rivista storica italiana, 58 (1966): 544-83, poi in Id., Geografia e storia della letteratura italiana (Torino: Einaudi, 1967). ↑
Su questo specifico aspetto si veda adesso il bel libro di Anna Pegoretti, Dante a Trento! Usi e abusi di una retorica nazionale (1890-1921) (Roma: Castelvecchi, 2022). ↑
Matthew Collins, “Bob Dylan and that «Italian Poet from the Thirteenth Century»,” in Dante e l’arte, 6 (2019): 11-24. ↑
Giulio Carlo Pantalei, “The Grunge Inferno: Dante as read by Kurt Cobain,” ibid., 93-104. ↑
Luca Bellone, “«Diverse lingue, orribili favelle, musica triste senza note»: intertestualità dantesca nel rap italiano,” in Carte romanze, 9 (2021): 269-309. ↑
Giulio Carlo Pantalei, “The Middle Ages of Postmodernism: Dante, Thom Yorke and Radiohead,” in Dante e l’arte, 6 (2019): 127-42. ↑
Fabrizio Galvagni, Dante e l’armonia delle sfere. La “Commedia,” il rock progressivo e altri percorsi (Milano: Vololibero, 2012); Davide Guerra, «Paolo e Francesca quelli io me li ricordo bene». Echi danteschi nella canzone italiana (Pasturana: Puntoacapo editrice, 2020); Trifone Gargano, Dante pop e rock. Le suggestioni dantesche nella musica e nella cultura (Bari: Progedit, 2021); Lorenzo Coveri, “Dante nelle canzoni,” in Giovanna Frosini, Giuseppe Polimeni (a cura di), Dante l’italiano (Firenze: Accademia della Crusca, 2021), 336-69. ↑
Charles T. Davis, “Dante and Italian Nationalism,” in William De Sua and Gino Rizzo, eds., A Dante Symposium in Commemoration of the 700th Anniversary of the Poet’s Birth (1265-1965) (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1965), 213. ↑
Francesco Giuliani, “Dante nella filatelia italiana,” in Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, 10 (2013): 123. ↑
Ibid., 130. ↑
In occasione del centenario del 1965 furono emessi francobolli commemorativi anche dalla Germania, da Malta, dagli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica, dal Messico e dall’Argentina. In Unione Sovietica e in Cecoslovacchia furono coniate inoltre medaglie commemorative. Cfr. L’Italia e il mondo per Dante (Firenze: Le Monnier, 1968), 20 e Francesco Giuliani, “Dante nella filatelia mondiale,” Dante. Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, 13 (2016): 79-96. ↑
Discorso del Presidente della Repubblica, in Comitato nazionale per le celebrazioni del VII centenario della nascita di Dante, Cerimonia di apertura delle celebrazioni. Il messaggio agli Italiani del Presidente della Repubblica. Campidoglio, 31 marzo 1965 (Roma: Istituto grafico tiberino, 1965), 46. ↑
Ibid., 45. ↑
Ibid., 46. ↑
Massimo Baioni, Risorgimento conteso. Memorie e usi pubblici nell’Italia contemporanea (Reggio Emilia: Diabasis, 2009), 94. ↑
Il Comitato nazionale dantesco al Quirinale, in L’Italia e il mondo per Dante, 9. ↑
Discorso dell’on. Ministro Gui presidente del Comitato nazionale dantesco, ibid., 19-22. ↑
Iniziative e manifestazioni promosse dal Comitato nazionale dantesco in Italia e all’estero, ibid., 51. ↑
Manifestazioni culturali promosse da Paesi stranieri, ibid., 65-76. ↑
Cfr. Dante anticlericale. Nel sesto centenario della sua morte, a cura dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” (Roma: Veritas, 1921). ↑
Paolo VI, Litterae Apostolicae Motu proprio datae “Altissimi cantus” septimo exeunte saeculo a Dantis Aligherii ortu, in Acta Apostolicae Sedis. Commentarium officiale, vol. LVIII (Città del Vaticano: 1966), paragrafi 9-11. ↑
Cfr. Mario Scotti, Sulla ricezione cattolica di Dante. La Lettera apostolica Altissimi Cantus, in Lia Fava Guzzetta, Gabriella Di Paola Dollorenzo, Giorgio Pettinari (a cura di), Dante e i papi. Altissimi cantus: una riflessione a 40 anni dalla Lettera Apostolica di Paolo VI (Roma: Studium, 2009), 25-49. ↑
Discorso dell’on. Ministro Gui, 28-29. ↑
Discorso del Presidente della Repubblica, 42-44. ↑
Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, 4 voll. (Milano: Mondadori, 1966-1967). ↑
Enzo Esposito, “Consuntivo del VII centenario dantesco (II),” Il Cannocchiale, 4-6 (1966), 200. ↑
Iniziative e manifestazioni promosse dal Comitato nazionale dantesco in Italia e all’estero, in L’Italia e il mondo per Dante, 46. ↑
Ibid., 48. ↑
Dante Ricci (a cura di), Il processo di Dante (Firenze: Arnaud, 1967). ↑
Corriere della Sera, 17 aprile 1966. ↑
La Nazione, 17 aprile 1966. ↑